
PER POTER ROVINARE UN LIBRO
WORKSHOP
Libro d’artista come autoritratto
A CURA DI
Gaia De Megni, Jacopo Martinotti
Ho aperto la porta entrando in quello che credevo essere una fucina di lavoro e fermento, quello che si crede insomma di trovare quando si legge sull’elenco dei workshop un titolo come Libro d’artista come autoritratto. Ovviamente, mi sono ritrovato invece molti occhi addosso e un professore (chiamato così per l’occasione, quando credo che preferirebbe essere chiamato artista) dallo sguardo gentile che si chiedeva chi fossi.
Nella mia esperienza dimentico sempre che alla base di un buon lavoro c’è la teoria, come alla base di una casa solida ci sono le fondamenta, e di fatti ho interrotto bruscamente una lezione in piena regola sulle reference più interessanti in materia di libri d’artista e autoritratti.
Giusto il tempo di spiegare che ero lì solo per aver un’istantanea scritta di quello che era il workshop e il docente ha proseguito a proporre una galassia di autoritratti fotografici, pittorici o anche solo evocativi, spiegati nelle loro particolarità, così da offire delle basi da cui partire a quella silenziosa classe che ascoltava con interesse.
La parte teorica è finita velocemente quanto velocemente sono arrivate le proposte all’artista (ora preferisco dargli il nome giusto) che tiene il workshop, Jacopo Martinotti, che ho ascoltato dialogare con i ragazzi del workshop. Ho sentito parole interessate e formative, consigli su come proseguire un lavoro che lui stesso nella conversazione avuta poco dopo mi definirà come «un autoritratto che sia espressione di una dimensione intima, legata alla propria identità e non fine a sé stessa, non trasmettitrice di sapere ma strumento scultoreo, plasmabile».
Dopo un confronto tra docente e allievi su come realizzare questi “libri”, sono riuscito finalmente ad avvicinarmi a Jacopo e a rubargli un po’ di tempo. Mi parla con chiarezza e astrazione, di come l’autoritratto richiesto non abbia una forma precisa: saranno poster, fanzine, prodotti digitali e libri di carta, di seta, di metallo. Il minimo comune denominatore di tutto è solo uno, cioè che anche i progetti digitali abbiano un riscontro fisico, reale, che sia forma complessa di potere e sapere. Perché assolutamente una forma fisica? Perché, citando Jacopo, «se sputo su un libro lo rovino, se sputo su uno schermo rovinerò solo uno schermo»: un modo incredibile di rappresentare la realtà, qualcosa di esistente e fragile, da dover conservare con cura e amare.
Matteo Giannetti