Intervista a Luca Pertegato e Guglielmo Bevilacqua di Otolab Studios

Come descriverebbe Otolab Studios?

G.B.: Stroboscopico. No, scherzo (ride). Multidisciplinare e sperimentale. Il nostro collettivo ha come obiettivo la comunione delle esperienze, la condivisione dei saperi e la sperimentazione in laboratorio.
L’ambiente è piuttosto eterogeneo e crea non solo opere ma ricchezza, in termini di idee e approcci. Non nascondiamo che tra le nostre fila c’è chi nutre interessi molto specifici, che abbracciano l’impegno sociale e l’attivismo nei contesti più disparati, ma di base Otolab Studios offre professionalità e innovazione per venire incontro alle necessità del cliente/committente. Tutto questo regolato dalla Policy interna al collettivo che ne sancisce le dinamiche.

Qual è stato il vostro percorso?

L.P.: Veniamo dal mondo della performance audio-visiva, poi abbiamo abbracciato la motion graphic e l’editing video. A questo si aggiunge la nostra volontà di espandere la sperimentazione artistica per capire e acquisire linguaggi nuovi. La nostra cifra stilistica è legata all’estetica anni settanta. L’arte programmata e cinetica è stata la nostra ispirazione per diverso tempo.

Quali strumenti usate per lavorare quotidianamente? Sono cambiati rispetto al passato, e come?

L.P.: Il collettivo Otolab esiste dal 2001, cioè quasi venti anni fa. Questo ci permette di tracciare una storyline degli strumenti che abbiamo usato nel corso della nostra carriera. I primi nuclei del collettivo hanno cominciato con un approccio analogico per quanto riguarda la scelta dei materiali e gli strumenti di
registrazione. Ad esempio utilizzavano i mixer video e i sintetizzatori e ciò che li accomunava era l’uso “improprio” di questi strumenti che creava effetti particolari, distorcendo i segnali in maniera anomala. Oggi tutto quanto è affidato ai software che sì permettono di lavorare più velocemente ed efficientemente, ma tolgono all’artista la sua dimensione artigianale. Ciononostante ci permettiamo di fare hacking di computer per poi declinare i sistemi chiusi in qualcosa di nuovo e funzionale ai nostri scopi. La parola
d’ordine è: “Do it Yourself!”


Daniele Pruneri e Amedeo Caramazza